Anidride solforosa in enologia

Impiego, forme di utilizzo e proprietà

Anidride solforosa in enologia

Impiego, forme di utilizzo e proprietà

L’anidride solforosa è utilizzata in enologia per le sue azioni antiossidanti e antisettiche.

Le quantità massime consentite in enologia sono stabilite da apposite leggi in vigore in ogni paese. Per quanto concerne l’Unione Europea, i limiti massimi consentiti sono di 160 mg/l per i vini rossi e di 210 mg/l per i vini bianchi e rosati. Sono previste delle deroghe che consentono agli stati membri di alzare questo valore per un massimo di 40 mg/l in annate sfavorevoli. In enologia, l’anidride solforosa è utilizzata sin dalle primissime fasi della produzione del vino, a partire dal mosto fino all’imbottigliamento.

Impiego

L’anidride solforosa è utilizzata prevalentemente nei seguenti casi:

  1. Nel mosto per i vini bianchi, con lo scopo di evitare l’avviamento della fermentazione alcolica, consentendo la decantazione delle parti solide;
  2. Prima dell’inizio della fermentazione alcolica, con lo scopo di selezionare i lieviti e, nel caso dei vini rossi, per favorire una migliore estrazione del colore e dei tannini dalle bucce;
  3. In tutte le operazioni che prevedono il contatto del vino con l’aria, come travasi, chiarificazioni, filtrazioni e imbottigliamento, evitando quindi l’ossidazione e lo sviluppo di batteri o lieviti indesiderati.

Ai fini di un corretto impiego dalla SO2 nella stabilizzazione microbiologica del vino è quindi necessario conoscere:

  • La quantità di SO2 libera;
  • Il pH del vino;
  • La temperatura del vino;
  • Il grado alcolico;
  • La quantità di SO2 molecolare presente;
  • La quantità di SO2 molecolare “paralizzante” cioè necessaria per bloccare la crescita dei microrganismi presenti nel vino.

Poiché la conservazione del vino rappresenta sempre un fattore critico e gli effetti conservanti dell’anidride solforosa sono svolti dalla frazione libera, un vino correttamente conservato dovrà sempre avere una certa quantità della stessa.

Forme di utilizzo

L’anidride solforosa può essere impiegata in enologia sotto diverse forme: in funzione del consumo annuale, della preparazione del personale di cantina e del momento d’impiego dell’anidride solforosa, una forma può essere preferibile alle altre; di seguito andremo ad analizzare quelle più comunemente utilizzate.

Solforosa liquida

Si indica così l’anidride solforosa gassosa conservata in bombole alla pressione di –3 atmosfere e che, pertanto, a temperatura ambiente, si trova allo stato fisico di liquido. Può essere introdotta nel vino direttamente attraverso un tubo immerso almeno a metà altezza del serbatoio da trattare.

I vantaggi legati all’uso della solforosa liquida sono:

  • Si tratta di un prodotto puro che non subisce alterazioni;
  • Ha una resa in solforosa doppia rispetto al metabisolfito di potassio;
  • Non apporta altre sostanze al vino e non ne aumenta le ceneri;
  • Costa meno delle altre forme solfitanti.

Per contro gli svantaggi sono:

  • Si tratta di un prodotto molto pericoloso da maneggiare che richiede manodopera addestrata all’uso;
  • La bombola più piccola contiene 58 kg di anidride solforosa; la detenzione in cantina di quantitativi superiori ai 75 kg necessita di apposite autorizzazioni

La soluzione ottimale, se non si può utilizzare la bombola

Il prodotto è commercializzato in taniche di plastica da kg. 20

10 mL apportano 0,6 g di SO2 pura.

Azioni e proprietà

Azione antisettica: inibisce lo sviluppo della flora microbica. L’efficacia antisettica di una determinata dose di solforosa risulta accresciuta se si riduce la popolazione microbica di partenza, ad esempio tramite filtrazione. Durante la conservazione dei vini, la solforosa inibisce lo sviluppo di tutti i microrganismi, evitando intorbidimenti dovuti alla presenza di lieviti o le rifermentazioni dei vini dolci. L’azione antisettica avviene a carico sia dei lieviti che dei batteri; i batteri sono tuttavia sensibili a dosi più basse rispetto ai lieviti e quindi a volte una fermentazione alcolica può avvenire e una malolattica no. La tolleranza alla solforosa da parte dei lieviti è maggiore nel mosto che nel vino, perché in quest’ultimo c’è un’alta concentrazione di alcol, anch’esso antisettico. Importante è inoltre l’azione selettiva svolta dall’anidride solforosa nei ceppi dei lieviti naturalmente presenti nel mosto. Ogni tipo di lievito risponde a delle caratteristiche proprie e si comporta in modo diverso durante la fermentazione. Con lo scopo di assicurare una migliore e più omogenea fermentazione, l’anidride solforosa risulta utile anche in questo caso. Alcuni lieviti e molti batteri sono particolarmente sensibili agli effetti dell’anidride solforosa che svolgerà quindi un’opportuna operazione di selezione.

Azione antiossidante: l’effetto antiossidante, su reazioni di natura chimica, si sfrutta lungo tutta la durata del processo, sia in vinificazione che in conservazione. In particolare, la SO2 preserva i vini da un’eccessiva ossidazione dei composti fenolici e di alcune sostanze aromatiche, delle sostanze coloranti, dei tannini, dell’alcol e del ferro. I rischi dell’ossidazione durante la produzione del vino sono piuttosto alti: sin dal momento in cui il grappolo è raccolto dalla vite e trasportato in cantina c’è sempre il pericolo di andare incontro ad ossidazioni. Inoltre, ogni volta che si compiono delle operazioni sul vino, la possibilità di contatti con l’ossigeno è sempre molto elevata, rischio che aumenta ulteriormente nel caso in cui il mosto o il vino è ricco di enzimi e muffe – come la Botrytis Cinerea – e metalli catalizzatori, come ferro e rame. Per questi motivi, l’impiego dell’anidride solforosa può limitare gli effetti dell’ossidazione, assicurando quindi una maggiore qualità e conservazione del vino. La SO2 svolge, inoltre, un’azione antiossidasica: protegge i mosti e i vini dalle ossidazioni di tipo enzimatico, inibendo istantaneamente gli enzimi ossidasici (tirosinasi, laccasi) e, se necessario, consentendone la successiva distruzione.

Azione solubilizzante: l’anidride solforosa svolge un effetto solvente favorendo l’estrazione di certe sostanze presenti nelle bucce dell’uva. Durante la macerazione delle bucce di uve rosse nel mosto, l’anidride solforosa favorisce il passaggio in soluzione delle sostanze coloranti e dei tannini. Per questo motivo è sempre preferibile evitare il solfitaggio delle uve bianche poiché questo porterebbe all’ingiallimento del mosto e all’arricchimento di tannini. Nei mosti di uve bianche, l’aggiunta di anidride solforosa è sempre effettuata dopo la separazione delle parti solide, cioè dopo la sgrondatura. Fra gli altri effetti solventi, l’anidride solforosa favorisce l’estrazione delle sostanze minerali e degli acidi.

Azione sulle caratteristiche organolettiche: l’anidride solforosa svolge anche un’azione positiva sul gusto e sugli aromi del vino. Dal punto di vista organolettico, evita l’ossidazione degli aromi, in particolare quelli fruttati tipici nei vini giovani, elimina il cosiddetto “gusto di svanito”, attenua i gusti di marcio e di muffa. Per ottenere questi effetti positivi, l’anidride solforosa deve essere aggiunta quando la fermentazione alcolica è terminata completamente. Qualora si aggiunga troppo presto rispetto alla fine della fermentazione, cioè quando la temperatura del vino è ancora troppo elevata, si possono sviluppare aromi e gusti sgradevoli di anidride solforosa, di mercaptano e di uova marce. L’anidride solforosa svolge infine una blanda azione chiarificante, poiché favorisce la coagulazione delle sostanze colloidali presenti nel vino e nel mosto, favorendo quindi la spontanea precipitazione delle fecce. L’anidride solforosa, aggiunta in quantità elevate nel mosto, è utilizzata per ottenere il cosiddetto “mosto muto”, cioè non fermentescibile, a causa del blocco dell’attività dei lieviti.

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